Yama e Niyama – L’etica di Patanjali

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Astinenze (yama) e Osservanze (niyama), possono essere considerate “pratiche di comportamento” volte ad orientare correttamente il cammino nello Yoga; essi costituiscono i primi due degli otto passi dello Astanga yoga di Patanjali, ma alcuni insegnanti li ritengono alla base persino dello stesso Hatha yoga.

“Senza stabili fondamenta una casa non può reggersi. Senza la pratica dei principi di yama e niyama, che pongono stabili fondamenta alla formazione del carattere, non può esistere una personalità completa. La pratica delle asana senza il sostegno di yama e niyama è semplice acrobazia.” (Iyengar B.K.S.).

YAMA – Consiste in Astenersi dalla violenza (ahimsa), Astenersi dalla falsità (satya), Astenersi dal furto (asteya), Astenersi dall’incontinenza delle passioni (brahmacarya), Astenersi dall’avidità (aparigraha).

  • Astenersi dalla violenza (ahimsa).

Il principio della non violenza è tra i più noti della pratica yoga e consiste nel non infliggere volontariamente sofferenza agli altri e a se stesso, non solamente con le azioni, ma anche con i pensieri e le parole. Un atteggiamento non violento comprende adeguate forme di comportamento, come, ad esempio, evitare l’arroganza. Lo yogi sa che la violenza ha le sue radici nella paura, nella debolezza, nell’ignoranza, nell’ira e nell’irrequietezza; il suo atteggiamento nei confronti di tutti gli esseri tende ad essere di comprensione e di compassione. Ciò che va avversato non è la persona che pratica la violenza, ma quest’ultima; combattere il peccato, non il peccatore è una massima che lo yogi si prefigge di realizzare nei confronti di se stesso e degli altri. Ahimsa è pratica di Amorevolezza.

  • Astenersi dalla falsità (satya).

Significa escludere menzogna ed ipocrisia nel comportamento, senza che ciò diventi brutalità: la mancanza di sensibilità è essa stessa una forma di violenza. La sincerità va praticata anche nei propri confronti, non nascondendosi difetti ed assumendosi la responsabilità dei propri comportamenti. Satya è pratica di Verità.

  • Astenersi dal furto (asteya).

Il furto consiste nel cercare di appropriarsi di qualcosa che non ci spetta; lo yogi cerca sempre di valutare in ogni situazione ciò che è lecito e dovuto, ben sapendo che ciò che non è meritato non arreca soddisfazione. In questo precetto va compresa l’astensione dalle piccole forme di appropriazione indebita che sembrano in certi contesti essere giustificate dal fatto che rientrano nei comportamenti comunemente diffusi. Asteya è pratica di Giustizia.

  • Astenersi dall’incontinenza delle passioni (brahmacarya).

Viene comunemente riferito alla sfera sessuale; alcuni lo intendono come totale astinenza dai rapporti sessuali, altri come moderazione negli stessi. L’interpretazione varia da persona a persona a seconda del cammino che segue: ben diversa è infatti la situazione di un asceta che dedica la sua esistenza all’esplorazione mistica o di chi svolge una vita sociale attiva: lo Yoga è una via di Verità e necessita innanzitutto dell’accettazione sincera di ciò che si è.

Questo precetto non va comunque inteso come repressione degli istinti in generale o di quelli sessuali in particolare, che porta frustrazioni e squilibri, ma come pratica di dominio degli istinti e delle energie, evitando di essere schiavi di ogni impulso e passione. Tramite l’astensione dall’incontinenza lo yogi pratica la liberazione dal dominio degli istinti e delle passioni ed il sano distacco, che consiste non certo nel rifiutare ciò che è piacevole, bensì l’attaccamento psicologico a tali esperienze ed il desiderio di una continua ripetizione. Brahmacarya è pratica di Autocontrollo.

  • Astenersi dall’avidità (aparigraha).

Consiste nel non sviluppare possessività, usando ciò che si ha in ogni momento e godendo di tutto ciò che la vita ci offre senza essere attaccato né ai beni materiali, né a quelli immateriali. La voglia di accumulare un sempre maggior numero di beni fa invece vivere molte persone con continua tensione e allo stesso modo sviluppa ansia e timore di perderli. Lo yogi mira sempre in primo luogo alla ricchezza interiore che è vicinanza allo Spirito, che dà pace, benessere ed immensa gioia. Aparigraha è pratica di Libertà dall’attaccamento.

NIYAMA – Consiste nel praticare Purezza (sauca), Appagamento (samtosa), Austerità (tapas), Studio di sé (svadhyaya), Abbandono (Isvara pranidhana).

  • Purezza (sauca).

Comprende la pulizia fisica, mentale e morale, anche se più frequentemente viene riferita al primo dei significati. Nello Yoga esistono moltissime pratiche di purificazione (krya), dall’accurata pulizia del corpo a quella di singole parti come il naso, la lingua e l’intestino. Anche le posizioni (asana) e il controllo del respiro svolgono azione di purificazione sia dei canali e dei centri di energia sottile (nadi e chakra), sia del sistema nervoso e della mente.

  • Appagamento (samtosa).

Lo yogi ricerca felicità e serenità dentro di sé. Conseguentemente non ambisce ad accumulare qualsiasi tipo di ricchezza; egli non si aspetta nulla dagli altri, pur restando sempre aperto ad ogni condivisione. E’ sempre e comunque, soddisfatto di quello che ha e di quello che è. Una condizione di appagamento è indispensabile per concentrarsi nella ricerca interiore, vincendo la tendenza della mente a volgersi verso altro da raggiungere. La condizione di appagamento non ha nulla a che vedere con l’inerzia, può e deve anzi coesistere con un atteggiamento positivo, dinamico e costruttivo verso la realizzazione di adeguati obiettivi, senza comunque far dipendere da questo la nostra felicità.

  • Austerità (tapas).

E’ la capacità di vivere in modo disciplinato. Si ottiene applicandosi diligentemente nello svolgimento dei propri compiti e perseguendo con determinazione e costanza i propri obiettivi. Praticando l’austerità si ottiene determinazione e fiducia nelle proprie capacità.

  • Studio di sé (svadhyaya).

Costituisce il primo passo per il cambiamento e l’evoluzione nella ricerca spirituale. Solo conoscendosi sempre più a fondo e con onestà, senza che questo degeneri in atteggiamento ossessivo, si possono porre le basi per un avanzamento reale verso la Realizzazione. Lo studio di sé comprende la riflessione e la meditazione di tutto ciò che può aiutarci  nella ricerca del Sé interiore.

  • Abbandono (Isvara pranidhana).

Attraverso la pratica dell’abbandono si esprime la consapevolezza dei propri limiti e cessa la resistenza ad opporsi ad eventi ineluttabili, sviluppando al tempo stesso la capacità di adattarsi nel modo migliore ai mutamenti della vita. Questa condizione non esprime passività, ma la modestia di chi percepisce le forze della vita come qualcosa di superiore a quelle personali e non coltiva l’illusione di poter decidere e controllare gli eventi. Isvara pranidhana letteralmente significa abbandono a Dio e alla sua volontà. Può essere anche inteso come abbandono alla Vita.

Articolo pubblicato in Yoga.

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